Nato sull’isola di Cos in una data imprecisata fra il 460 e il 450 a.C., Ippocrate è destinato a diventare nei secoli il simbolo stesso dell’arte medica: considerato il padre della medicina, ne rivoluzionò il concetto, contribuendo all’affermazione della Medicina, in particolare quella clinica, come professione.
La sua famiglia, di origine aristocratica, apparteneva alla corporazione medica degli Asclepiadi: il padre Fenarete, egli stesso medico, affermava di discendere da Asclepio, il dio della medicina, e lo introdusse agli studi medici.
Su di lui sappiamo che lavorò a Coo e ad Atene, oltre che in Tracia e a Taso.
Viaggiò, inoltre, moltissimo, visitando tutta la Grecia e raggiungendo anche l’Egitto e la Libia, dove fu iniziato alla conoscenza degli antichi segreti detenuti dai sacerdoti.
Nel 429 a.C. contribuì a sconfiggere la peste ad Atene e fondò una scuola medica nella sua isola natale.
Una notizia certa è che morì poco dopo il 380 a.C., probabilmente il 377 a.C., a Larissa in Tessaglia.
Ad Ippocrate viene attribuito un Corpus, definito appunto Hippocraticum, di circa 70 opere, il cui nucleo principale è stato composto fra la fine del V e gli inizi del IV sec. a. C., mentre altre opere furono sicuramente aggiunte fra il II e il I sec. a.C.
All’interno del nucleo antico coesistono scritti di orientamento teorico assai differente, che presentano influssi della cultura sofistica o del naturalismo presocratico, oltre ad opere mediche riconducibili a scuole di pensiero divergenti fra loro.
Il Corpus si formò probabilmente intorno al III sec. a.C., durante la fase di costituzione della Biblioteca di Alessandria, all’interno della quale furono raccolte le opere mediche più autorevoli, attribuite poi ad Ippocrate.
L’uso introdotto e consolidato da Galeno, di commentare gli scritti delle autorità mediche antiche, avrebbe rafforzato infine l’attribuzione ad Ippocrate di un gran numero degli scritti del Corpus.
L’identificazione della figura storico-culturale di Ippocrate è strettamente legata all’interpretazione delle testimonianze antiche su di lui, in primo luogo a quelle di Platone nel Fedro (269el-270c5):
“Per ciò che riguarda la natura, esamina che cosa mai dicono Ippocrate e il ragionamento veritiero. Non occorre forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa? Innanzitutto, bisogna vedere se l’oggetto di cui vorremmo essere esperti noi stessi e capaci di rendere tale un altro è semplice o multiforme. In secondo luogo, qualora sia semplice, occorre esaminare quale potenza abbia per natura, a che cosa si rivolga quando è attivo o da che cosa dipenda quando è passivo. Qualora invece abbia molte forme, dopo averle enumerate, bisogna esaminare ciascuna di esse come si è fatto per la forma unica, per vedere con quale forma ciascuna agisca naturalmente e che cosa faccia o con quale forma subisca, che cosa subisca e per effetto di che cosa”.
Platone sostanzialmente afferma che Ippocrate seguiva un metodo secondo il quale non era possibile curare la singola malattia e il singolo paziente senza conoscere la natura del tutto. Centrale è, però, l’interpretazione del termine holon (tutto, qualsiasi cosa), in quanto se lo si riferisce ad uno sforzo di generalizzazione metodica dei problemi diagnostici e terapeutici, si può pensare ad un’opera di indirizzo empiristico come Antica medicina, mentre se lo si riferisce alla totalità dell’ambiente geografico e sociale, si può pensare a un’opera dal carattere meteorologico come Aria, Acqua, Luoghi; infine, se si intende l’insieme del cosmo, si può pensare ad un’opera centrata sul rapporto del microcosmo-macrocosmo come il Regime.
Un’altra testimonianza antica fondamentale per la conoscenza della figura storico-culturale di Ippocrate è quella del cosiddetto Anonimo Londinese, un dossografo appartenente alla scuola di Aristotele, sulla cui base l’opera del Corpus più vicina ad Ippocrate risulterebbe quella sui Venti, dove si riportano all’atmosfera ambientale le cause della salute e della malattia.
Il problema che non consente di risolvere la cosiddetta “questione ippocratica” è che ognuna di queste opere può essere scelta come nucleo di scritti relativamente affini, ma non coincidono fra loro in quanto si escludono a vicenda.
Un relativo accordo fra gli studiosi sembra, tuttavia, sussistere per due scritti Malattia sacra e Arie, Acque, Luoghi, ai quali si possono aggiungere Fratture, Articolazioni, Prognostico e Epidemie. Lo scritto sulla Malattia Sacra tratta in termini antisuperstiziosi e scientifici l’epilessia, tradizionalmente intesa come un morbo inviato dagli dei e per questo definito sacro, mentre in Aria, Acque, Luoghi la salute umana è posta in rapporto con l’influsso esercitato dal clima e contiene anche un excursus etnografico sulle varie regioni d’Europa e d’Asia.
I trattati ippocratici, tuttavia, andando al di là delle problematiche inerenti la loro attribuzione, segnano la nascita di un sapere medico in forma scritta, con rilevanti conseguenze sulla cultura dell’arte terapeutica. In primo luogo il medico entrava a far parte dell’élite delle professioni intellettuali colte, mentre la pratica terapeutica diventa un’arte razionale, aperta e pubblica i cui principi e metodi diventano disponibili a molti.
Inoltre, la scrittura consentì alla medicina di costituirsi come un sapere cumulativo, in grado di sommare le esperienze dei diversi professionisti, le scoperte terapeutiche e le conoscenze più disparate.
Su queste basi si può meglio comprendere il nucleo della dottrina medica di Ippocrate, secondo il quale le malattie hanno un andamento regolare e prevedibile, la cui causa è da riconoscersi in uno squilibrio intervenuto fra ambiente interno ed esterno (condizioni climatiche, eccessi nel modo di vita, alimentazione scorretta).
Ippocrate individua all’interno del corpo umano quattro umori: il sangue che proveniva dal cuore, il flegma che aveva sede nel cervello, la bile gialla propria del fegato e la bile nera derivante dalla milza.
Causa delle malattie è uno squilibrio di questi fluidi organici, chiamati appunto umori, che possono trovarsi in quantità eccessiva o difettosa oppure essere putrefatti o corrotti, anche in un solo singolo elemento.
Se diagnosi e prognosi si basano, quindi, sui fluidi in uscita dal corpo, la terapia consisterà soprattutto nel regolarne gli ingressi. Per eliminare gli umori in eccesso era così necessario un processo di modificazione degli stessi che Ippocrate definiva “cottura”, mentre il periodo intercorrente fra questo processo e la guarigione era conosciuto con il nome di “crisi”.
La concezione di Ippocrate si rifaceva a quella di Talete e Alcmeone, quando sosteneva che l’uomo è il microcosmo e il corpo è formato da quattro elementi fondamentali (aria, fuoco, terra e acqua), cui faceva corrispondere gli umori: quindi all’aria corrispondeva il sangue, al fuoco la bile gialla, alla terra la bile nera e all’acqua il flegma.
Agli umori vennero anche fatte corrispondere le quattro stagioni, per cui la primavera corrispondeva ad aria e sangue, l’estate fuoco e bile gialla, l’autunno terra e l’inverno acqua, oltre che le varie fasi della vita umana (infanzia e prima giovinezza, giovinezza matura, età virile, età senile) e i quattro temperamenti fondamentali dell’uomo: i malinconici, in cui predomina la bile nera, i flemmatici in cui predomina il flegma, i sanguigni in cui predomina il sangue e i biliosi in cui predomina la bile gialla.
Radici | Qualità | Umori | Caratteri | Stagioni | Età | |
---|---|---|---|---|---|---|
aria | umido | caldo | sangue | sanguigno | primavera | infanzia |
fuoco | secco | bile | bilioso | estate | giovinezza | |
terra | freddo | bile nera | malinconico | autunno | maturità | |
acqua | umido | catarro | flemmatico | inverno | vecchiaia |
Il testo più celebre attribuito ad Ippocrate, che codifica l’etica medica, è senza dubbio il Giuramento, in cui vengono enumerati i principi fondamentali che deve seguire chi esercita questa professione: diffusione responsabile del sapere, impegno a favore della vita, senso del proprio limite e rettitudine, segreto professionale.
TESTO ANTICO:
(GRC)
« Ὄμνυμι Ἀπόλλωνα ἰητρὸν, καὶ Ἀσκληπιόν, καὶ Ὑγείαν, καὶ Πανάκειαν, καὶ θεοὺς πάντας τε καὶ πάσας, ἵστορας ποιεύμενος, ἐπιτελέα ποιήσειν κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν ὅρκον τόνδε καὶ ξυγγραφὴν τήνδε.
Ἡγήσασθαι μὲν τὸν διδάξαντά με τὴν τέχνην ταύτην ἴσα γενέτῃσιν ἐμοῖσι, καὶ βίου κοινώσασθαι, καὶ χρεῶν χρηίζοντι μετάδοσιν ποιήσασθαι, καὶ γένος τὸ ἐξ ωὐτέου ἀδελφοῖς ἴσον ἐπικρινέειν ἄρρεσι, καὶ διδάξειν τὴν τέχνην ταύτην, ἢν χρηίζωσι μανθάνειν, ἄνευ μισθοῦ καὶ ξυγγραφῆς, παραγγελίης τε καὶ ἀκροήσιος καὶ τῆς λοιπῆς ἁπάσης μαθήσιος μετάδοσιν ποιήσασθαι υἱοῖσί τε ἐμοῖσι, καὶ τοῖσι τοῦ ἐμὲ διδάξαντος, καὶ μαθηταῖσι συγγεγραμμένοισί τε καὶ ὡρκισμένοις νόμῳ ἰητρικῷ, ἄλλῳ δὲ οὐδενί.
Διαιτήμασί τε χρήσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν, ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν.
Οὐ δώσω δὲ οὐδὲ φάρμακον οὐδενὶ αἰτηθεὶς θανάσιμον, οὐδὲ ὑφηγήσομαι ξυμβουλίην τοιήνδε. Ὁμοίως δὲ οὐδὲ γυναικὶ πεσσὸν φθόριον δώσω.
Ἁγνῶς δὲ καὶ ὁσίως διατηρήσω βίον τὸν ἐμὸν καὶ τέχνην τὴν ἐμήν.
Οὐ τεμέω δὲ οὐδὲ μὴν λιθιῶντας, ἐκχωρήσω δὲ ἐργάτῃσιν ἀνδράσι πρήξιος τῆσδε.
Ἐς οἰκίας δὲ ὁκόσας ἂν ἐσίω, ἐσελεύσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων, ἐκτὸς ἐὼν πάσης ἀδικίης ἑκουσίης καὶ φθορίης, τῆς τε ἄλλης καὶ ἀφροδισίων ἔργων ἐπί τε γυναικείων σωμάτων καὶ ἀνδρῴων, ἐλευθέρων τε καὶ δούλων.
Ἃ δ’ ἂν ἐν θεραπείῃ ἢ ἴδω, ἢ ἀκούσω, ἢ καὶ ἄνευ θεραπηίης κατὰ βίον ἀνθρώπων, ἃ μὴ χρή ποτε ἐκλαλέεσθαι ἔξω, σιγήσομαι, ἄρρητα ἡγεύμενος εἶναι τὰ τοιαῦτα.
Ὅρκον μὲν οὖν μοι τόνδε ἐπιτελέα ποιέοντι, καὶ μὴ ξυγχέοντι, εἴη ἐπαύρασθαι καὶ βίου καὶ τέχνης δοξαζομένῳ παρὰ πᾶσιν ἀνθρώποις ἐς τὸν αἰεὶ χρόνον. παραβαίνοντι δὲ καὶ ἐπιορκοῦντι, τἀναντία τουτέων. »
(IT)
« Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto:
di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.
Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.
Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.
In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.
E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro. »
TESTO MODERNO
« Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:
di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica;
di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;
di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
di prestare assistenza d’urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente;
di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione. »