BIOGRAFIA
Tommaso Campanella nacque a Stilo, in provincia di Reggio Calabria, il 5 settembre 1568, dal padre Geronimo Campanella e la madre Caterina Basile, come egli stesso dichiarò il 23 novembre 1599 nel carcere di Castel Nuovo a Napoli davanti al giudice Antonio Peri.
Nel 1581 la famiglia si trasferì nella vicina Stignano e nella primavera del 1582 il padre pensò di mandare il figlio presso un fratello a Napoli, per studiare diritto, ma Campanella decise di entrare nell’Ordine domenicano, per poter seguire un corso regolare di studi.
Entrò da novizio nel convento di Placanica e a quindici anni pronunciò i voti nel convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso, in onore di San Tommaso d’Aquino.
Fra il 1585 e il 1587 continuò gli studi superiori a Nicastro e poi si recò nel 1588 a Cosenza dove affrontò lo studio della teologia. Qui moriva in quei giorni Bernardino Telesio, che Campanella riconobbe come sua guida, scoprendo grazie al De Rerum Natura Iuxta Propria Principia che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere indagata con i sensi e la ragione, prima osservando e poi ragionando senza schemi precostituiti.
La sua inclinazione per il naturalismo telesiano fece nascere dei sospetti nei suoi confronti negli ambienti della Controriforma, tant’è che venne trasferito nel convento di Altomonte, dove comunque non rimase inattivo e portò a compimento la sua prima opera, la Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni dopo, con la quale ribadisce la sua adesione al naturalismo di Telesio.
Nel 1589 abbandona il convento di Altomonte e si trasferisce a Napoli , ospite dei marchesi del Tufo, dove inizia a scrivere il De Sensu Rerum e il De Investigatione Rerum, approfondendo il suo interesse scientifico misto a studi alchemici e magici.
La prima delle due opere, il De Sensum Rerum et Magia, fu completato e dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici nel 1592: in essa si afferma che i tre principi di cui è composta la natura (materia, caldo e freddo) sono frutto della creazione divina. In quest’opera, Campanella parla anche della magia, considerata come l’insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura: in tal senso il mago è un sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose.
A Napoli nel 1591 Campanella viene arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l’accusa di pratiche demoniache e subisce un primo processo, la cui sentenza emessa in San Domenico il 28 agosto 1592 lo scagiona dall’accusa di pratiche demoniache ma lo condanna per la sua adesione alla filosofia telesiana.
Il 5 settembre 1592, dopo aver scontato quasi un anno di carcere, Campanella partiva da Napoli verso Firenze, dalla quale fu cacciato dal duca stesso e mandato a Bologna, dove l’Inquisizione gli ruba i manoscritti per cercare prove contro di lui.
Agli inizi del 1593, Campanella è a Padova, ospite del convento di Sant’Agostino, dove conobbe Galileo e il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco.
Nel 1594 fu nuovamente arrestato dalla Santa Inquisizione con l’accusa di aver scritto l’opuscolo De tribus impostoribus (Mosè, Gesù e Maometto), diretto contro le tre religioni monoteiste e di essere un eretico oppositore della dottrina e dell’istituzione della Chiesa.
L’11 ottobre 1954 fu rinchiuso a Roma nel carcere dell’Inquisizione.
Dopo varie vicissitudini, riesce a dimostrare la sua innocenza grazie alla composizione delle opere De monarchia Christianorum e De regimae ecclesiae, ai quali fece seguito nel 1595 il Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi.
Nel 1596 viene assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva, ma nel 1597, Scipione Prestinace, prima di essere giustiziato, denuncia di eresia Campanella, che viene così nuovamente arrestato.
Il nuovo processo si concluse il 17 dicembre 1597 con l’assoluzione di Campanella, che a luglio del 1598 si reca a Nicastro e successivamente a Stilo, ospite del convento domenicano di Santa Maria di Gesù: qui scrisse il De predestinatione et reprobatione e auxiliis divinae gratiae, nel quale afferma la dottrina cattolica del libero arbitrio.
In Calabria, Campanella inizia a tessere una rivolta antispagnola, ponendosi alla testa del malcontento che serpeggiava nella popolazione, interpretandolo però in una chiave politico-religiosa: per lui l’umanità doveva essere unificata da un’unica religione in un’unica comunità politica.
Gli spagnoli, avendo sentore del tentativo di insurrezione, intensificarono i controlli riuscendo a scoprire la congiura e grazie al tradimento dei suoi complici che lo indicarono come capo della cospirazione, fu trasferito a Napoli e rinchiuso a Castel Nuovo.
Agli inizi del 1600 alcuni congiurati, interrogati, sostennero che il frate domenicano stesse propagando idee eretiche e che sulla base delle sue indagini astrologiche avrebbe sostenuto che nel 1600 ci sarebbe stato un grande rivolgimento e che la Spagna avrebbe perso il suo potere.
Abbiamo conoscenza del suo processo grazie ad un medico napoletano Luigi Amabile, che nel 1870 trovò l’intero carteggio dell’Inquisizione riguardante il processo di Tommaso Campanella e nel 1882 pubblicò tre volumi con gli atti del processo ricostruiti accuratamente.
Durante il processo presieduto dal vescovo Benedetto Mandina, Campanella fu torturato e riconobbe le proprie eresie, fino a quando non decise di fingersi pazzo, in quanto, secondo le dottrine condivise dall’Inquisizione, in caso di follia conclamata la pena di morte doveva essere sospesa per la considerazione teologica che una persona malata di mente non può pentirsi neanche all’ultimo momento e si condanna quindi inesorabilmente all’inferno, cosa che va oltre la possibilità dell’essere umano.
Campanella fa credere per mesi che gli stenti e le prime torture l’abbiano fatto impazzire, ma i giudici, dubbiosi di tale follia, lo sottopongono nell’estate del 1600 alla tortura della corda, alla quale resistette dando risposte senza senso.
L’accettazione da parte dei giudici della pazzia in maniera definitiva avvenne nel giugno 1601, quando il frate fu sottoposto alla tortura della veglia, che implicava tratti di corda prolungati per quaranta ore, alternati al cavalletto, con tre brevi interruzioni. Campanella viene ufficialmente dichiarato pazzo e viene condannato al carcere a vita e rinchiuso in una cella del Maschio Angioino in attesa di una sentenza definitiva.
Trascorse in prigione 27 anni, durante i quali scrisse le sue opere più importanti, e venne scarcerato nel 1626 grazie a Maffeo Barberini, poi papa con il nome di Papa Urbano VIII, che lo fece portare presso il Sant’Uffizio e liberare definitivamente nel 1629, facendolo diventare suo consigliere per le questioni astrologiche.
Nel 1634 una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti da Pignatelli, gli creò problemi, in quanto gli spagnoli ne chiesero l’estradizione. Il papa rifiutò e consigliò la fuga a Campanella, che il 21 ottobre lasciò l’Italia per recarsi a Parigi, dove rimase, ospite del convento di Saint Honorè, fino alla sua morte avvenuta nel 1639.
Nel 1602, prima che il processo giungesse a compimento, Tommaso Campanella scrisse quella che fu considerata la sua opera principale: la Città del Sole, nella quale sono racchiusi i cardini del suo pensiero.
In essa, Campanella afferma come la distribuzione ineguale del denaro sia causa dell’infermità morale degli uomini, in quanto i ricchi, divenuti presuntuosi e prepotenti, trattano gli altri come oggetti e si danno ai vizi.
Rispetto a questa matrice di immoralità, decadenza e cattivo costume, il frate ricorre al concetto di spropriatezza, secondo il quale essere liberi dalla proprietà vuol dire essere più equilibrati: la Città del Sole è felice perchè gli uomini sono più liberi in quanto non appesantiti dalla brama di possesso.
Ma, secondo Campanella, togliere la proprietà non è sufficiente se la differenziazione viene messa in atto dal permanere della famiglia, in quanto chi è disinteressato riguardo alla propria persona è portato ad occuparsi dei figli e a voler accumulare ricchezze per loro. In tal senso, la Città del Sole deve considerarsi come una grande famiglia, all’interno della quale i bambini vivono in comune, senza vincoli familiari.
Terzo pilastro della comunità solare è, infine, l’eugenetica, secondo la quale bisogna pianificare la procreazione per sviluppare una stirpe bella, forte e pura. I funzionari dello Stato preposti alle nascite devono scrutare gli astri, che predeterminano le caratteristiche di una persona, in modo che nascano individui con attitudini diverse a seconda della configurazione astrale sotto la quale nascono.
Inoltre, Campanella afferma che il potere supremo sulla Città del Sole dovrà essere detenuto da un personaggio chiamato Sole o Gran Metafisico, considerato il più sapiente di tutti.
L’opera di Campanella si conclude con una decisa affermazione del libero arbitrio dell’uomo, in coerenza con tutto quello che ha operato e sostenuto, dando luogo all’utopia di uno Stato armonioso in cui spontaneamente gli uomini conciliano tra loro.
Le ultime parole della Città del Sole presentano un evidente riferimento autobiografico: <<…Ma non trattenermi oltre che ho da fare. Sai bene che ho gran fretta. Continuerò un’altra volta. Sappi solo questo ancora: che essi credono sommamente al libero arbitrio e sostengono che se dopo un supplizio di quaranta ore un uomo non si convince a parlare se ha deciso di tacere neanche l’influsso degli astri può forzarlo…>>.